L’effetto suolo in Formula 1 (parte 3: dalle minigonne al fondo piatto)

Dopo i contrasti tra FISA e FOCA (vedi L’effetto suolo in Formula 1 – parte 2: l’epoca d’oro delle minigonne) sul tema dell’effetto suolo, che sarebbe dovuto essere drasticamente ridimensionato per la stagione 1981, si era giunti ad un accordo poco prima dell’inizio del nuovo Campionato del Mondo che aveva rischiato di non vedere al via le squadre legate alla FOCA. Questo accordo prevedeva un regolamento provvisorio secondo il quale le vetture avrebbero potuto mantenere i tubi di Venturi per generare l’effetto suolo ma senza l’ausilio delle minigonne mobili e con un altezza della vettura minima dal suolo fissata in 6 cm. Si pensava che in questo modo si sarebbero potuti risolvere i problemi legati all’eccessiva velocità in curva delle monoposto e all’esagerata rigidità delle sospensioni che provocavano fastidiosi dolori ai piloti. Purtroppo questa speranza si rivelò del tutto infondata.

La storia recente della Formula 1 ci ha insegnato che spesso la vettura vincente è quella di chi osa di più, di chi sà leggere nelle pieghe del regolamento per tirare fuori soluzioni ai limiti della regolarità che suscitano le ire degli avversari. Fortunatamente quello che succede oggi non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello che si vedeva negli anni ’80 e la stagione 1981 fu tutto un fiorire di polemiche attorno alla Brabham (ancora lei) e Gordon Murray (ancora lui). Murray infatti escogitò una scappatoia per aggirare il divieto delle minigonne mobili e dell’altezza minima dal suolo, aveva dotato le sospensioni della BT49C di un martinetto idraulico azionabile dal pilota che permetteva di variare l’altezza dal suolo. In questo modo la BT49C risultava perfettamente regolare al momento delle verifiche, ma una volta in movimento le sospensioni venivano abbassate e le fiancate rigide della monoposto fungevano da minigonne. Le squadre legate alla FISA riaccesero le polemiche e sostennero che tale soluzione fosse da bandire ma, con grande sorpresa di tutti, i commissari che ispezionarono la vettura la considerarono perfettamente regolare nonostante la presenza del martinetto. Le altre squadre non poterono fare a meno di adeguarsi, chi con dei martinetti simili a quelli della Brabham e chi con delle sospensioni che si abbassavano con la pressione dell’aria sulla vettura in movimento.

Nelson Piquet alla guida della Brabham BT49C con la quale avrebbe conquistato il titolo iridato.

Questo non fece che peggiorare le cose per i piloti. Infatti, se le minigonne mobili che scorrevano su e giù all’interno delle fiancate copiavano perfettamente l’asfalto anche se la vettura si alzava e si abbassava, adesso le fiancate rigide dovevano aderire perfettamente all’asfalto per garantire il necessario sigillo e per questo le sospensioni dovevano avere escursione praticamente nulla. Quindi se negli anni passati gli assetti erano rigidi pur conservando una certa escursione delle sospensioni, adesso le monoposto si riducevano a dei grandi go-kart che sballottavano i piloti in continuazione procurandogli continue contusioni agli arti che urtavano contro le pareti dell’abitacolo. Al termine del Gran Premio di Monaco, il vincitore Gilles Villeneuve scese dalla vettura in stato semi confusionale per le continue testate che aveva dato al roll-bar causate dall’asperità della stradine del Principato non filtrate in alcun modo dalle sospensioni. Insomma la guida per i piloti era diventata un inferno ed era chiaro che non si poteva continuare così. Si prese quindi la decisione di abolire i martinetti idraulici e l’altezza minima da terra per il 1982 consentendo però l’uso di minigonne rigide in vista di una corposa revisione regolamentare per gli anni a seguire. Però, prima che finisse il campionato 1981, fece la sua apparizione una meteora della Formula 1, l’ultimo vero colpo di genio di Colin Chapman prima della sua morte: la Lotus 88.

La Lotus 88 era stata concepita per cercare di ovviare al problema dell’eccessiva rigidità delle sospensioni e presentò l’inedita soluzione di un doppio telaio: quello tradizionale dove erano alloggiati tutti gli organi meccanici unito ad uno secondario e realizzato in materiali compositi che incorporava le due fiancate esterne unite tra di loro da tre traverse metalliche. Il telaio esterno era fissato con delle molle direttamente ai bracci delle sospensioni, in questo modo da ferma la vettura avrebbe avuto l’altezza minima prevista da regolamento, ma una volta in movimento la pressione dell’aria sul telaio esterno avrebbe fatto comprimere le molle che avrebbero spinto l’intera struttura verso il suolo andando quindi a sigillare il flusso d’aria sotto la vettura. Un altro vantaggio era dato dal fatto che, essendo il secondo telaio ancorato direttamente alle sospensioni, la sua spinta verso il basso avrebbe contribuito a tenere i pneumatici incollati al suolo. Ma non era tutto, in questo modo non ci sarebbe più stato bisogno di adottare sospensioni ultrarigide in quanto sarebbe stata la pressione dell’aria a schiacciare la sola struttura esterna al suolo senza bisogno di intervenire sul telaio principale che rimaneva indipendente, permettendo quindi di regolare le sospensioni a piacimento. Tuttavia la Lotus 88 non ebbe alcun seguito. Infatti apparve solo alle prove libere del GP di Long Beach e fu immediatamente giudicata irregolare in quanto violatrice dell’Articolo 3.7 del regolamento secondo il quale tutte le parti del corpo vettura devono essere montate in maniera solidale senza possibilità di movimento onde influire sull’aerodinamica della vettura. Insomma il doppio telaio venne considerato alla stregua di un dispositivo aerodinamico mobile e messo al bando.

Elio De Angelis disse:

“La 88 mancava enormemente di messa a punto. A Long Beach eravamo riusciti a farla funzionare correttamente per le prove ufficiali , ma siamo stati bloccati subito. il problema principale stava nella costruzione affrettata e poco curata: l’aria si infilava tra le due scocche . Nelle curve rapide, una scocca se ne andava da una parte e l’altra puntava in tutt’altra direzione…..Penso che la Lotus 88 sia stata l’ultimo tentativo di Chapman nelle competizioni. Credo si rendesse conto che era al limite del regolamento”

Elio De Angelis posa accanto alla Lotus 88.

Il 1982 sancì la fine definitiva delle minigonne. I tragici fatti di quella stagione convinsero tutti della necessità di rivedere i regolamenti. Primo fra tutti l’incidente che costò la vita a Gilles Villeneuve durante le qualifiche del GP del Belgio. La dinamica è molto semplice e riassume tutti i problemi legati all’effetto suolo: affrontando una curva all’altissima velocità consentita dalle minigonne, Villeneuve si trovò  improvvisamente di fronte la più lenta March di Jochen Mass che stava effettuando il giro di rientro a bassa velocità. Vedendo la Ferrari del canadese arrivare a tutta velocità, Mass si spostò fuori traiettoria sulla destra della pista ma inspiegabilmente Villeneuve, invece che proseguire dritto, si spostò anche lui sulla destra immaginando che Mass sarebbe rimasto in traiettoria. Le vetture dotate di minigonne una volta impostata la traiettoria non permettevano correzioni improvvise all’ultimo momento perché era come se corressero sui binari, per questo lo schianto fu inevitabile e come immaginabile la monoposto del canadese decollò roteando su se stessa. L’urto fu talmente violento che il sedile di Villeneuve si staccò di netto dal telaio proiettando in aria il pilota che ricadde diversi metri più in là. Analoga sorte, con coincidenze al limite dell’assurdo, toccò al suo compagno di squadra Didier Pironi durante le qualifiche del GP di Germania.

Patrick Tambay, arrivato alla Ferrari dopo la scomparsa di Villeneuve, al volante della Ferrari 126C2 considerata dallo stesso Ferrari come una vettura “maledetta”.

La giornata era piovosa e grazie al tempo fatto segnare il giorno prima sull’asciutto il francese era in pole position in vista della gara di domenica. Quel giorno ci si limitava quindi a testare gli assetti da bagnato in previsione di una gara bagnata. Uscito dai box per una serie di giri di prova, Didier si trovò davanti la Williams di Derek Daly sul lungo rettilineo che conduce al Motodrom. Ad un tratto l’inglese, più lento di lui, si spostò fuori traiettoria e Pironi, pensando che volesse dargli strada, aumentò l’andatura per superarlo. In realtà Daly stava superando la Renault di Prost che procedeva ad andatura ridottissma. Pironi, a causa della nuvola d’acqua sollevata dalla Williams, non si rese conto della situazione e vide Prost all’ultimo istante. Anche in questo caso l’urto fu inevitabile e violentissmo, la Ferrari di Pironi decollò fino a sfiorare la cima degli alberi a bordo pista per poi riatterare di muso sul tracciato. Pironi sopravvisse ma a causa delle numerose fratture alle gambe, che salvò per miracolo, non fu più in grado di guidare una Formula 1.

Nelson Piquet al volante della Brabham BT52 con la quale avrebbe vinto il suo secondo titolo mondiale. Notare la configurazione a freccia piuttosto estrema.

Nelson Piquet al volante della Brabham BT52 con la quale avrebbe vinto il suo secondo mondiale. Da notare la configurazione a freccia che sulla BT52 era stata portata all’estremo.

Il 1983 vide quindi la scomparsa delle minigonne e dei condotti di Venturi. Il regolamento, oltre che a modifiche sulle dimensioni degli alettoni, imponeva ora l’obbligo di utilizzare un fondo piatto abbinato ad un diffusore posteriore opzionale per fini aerodinamici. La maggioranza delle squadre, per cercare di ovviare all’inevitabile calo di prestazioni dovuto alla mancanza dell’effetto suolo, realizzò monoposto “a freccia” spostando tutto il peso possibile sull’asse posteriore per compensare le carenze aerodinamiche dei nuovi modelli con la maggiore trazione garantita da questa configurazione, con la maggiore potenza dei motori turbo e con l’aumento delle dimensioni degli alettoni. Si videro quindi monoposto strette e lunghe che portarono questo concetto all’estremo come la Brabham BT52, che a fine anno avrebbe vinto il mondiale con Piquet, e la Ferrari 126 C3 nessuna delle quali disponeva di un diffusore posteriore.

L’unica squadra ad andare controcorrente fu la McLaren che mantenne la configurazione a pance lunghe non perché non avesse avuto la possibilità di seguire Brabham e Ferrari, ma semplicemente perché aveva trovato il modo di ritrovare parte dell’effetto suolo perduto. A onor del vero anche squadre come Renault e Alfa Romeo rinunciarono alla configurazione a freccia, ma più per creare una certa continuità con i progetti degli anni precedenti che per altro. A Woking invece fecero di necessità virtù. Non potendo disporre ancora dei potenti motori turbo come le altre squadre di vertice, John Barnard si concentrò sull’aerodinamica e modificò la Mp4/1 nella parte terminale delle pance laterali rastremandole a forma di “bottiglia di Coca-Cola”. In questo modo si ottimizzavano i flussi d’aria nella zona delle ruote posteriori indirizzandoli su quel diffusore ammesso dal regolamento ma che le altre squadre avevano ignorato. In questo modo si riusciva a ricreare un effetto Venturi. Infatti il diffusore aveva la funzione di aumentare la velocità del flusso d’aria passante sotto la vettura e il gradiente di pressione venutosi a creare con il flusso passante sopra il diffusore attraverso la zona a “Coca-Cola” faceva si che la vettura venisse schiacciata al suolo. La questione fondamentale è che il carico aerodinamico trovato in questo modo è “efficace”, ovvero si crea deportanza senza aumentare la resistenza aerodinamica della vettura tramite alettoni. Inizialmente questa novità fu accolta in sordina, infatti la McLaren utilizzava ancora il vetusto Cosworth DFV che nulla poteva contro i motori turbo, quindi per quella stagione la configurazione vincente si rivelò quella a freccia che trionfò grazie alla Brabham BT52 motorizzata BMW.

Ma a partire dall’anno successivo le cose sarebbero drasticamente cambiate. Infatti la McLaren sarebbe stata equipaggiata con i nuovissimi motori TAG-Porsche turbo che l’avrebbero portata alla vittoria del mondiale con Niki Lauda e Alain Prost nel 1984 e 1985. L’efficacia della nuova soluzione a “Coca-Cola” balzò quindi agli onori della cronaca e, a partire dal 1985, tutte le squadre abbandonarono la configurazione a freccia realizzando monoposto con le fiancate a Coca-Cola abbinate ad un diffusore posteriore.

Niki Lauda alla guida della McLaren Mp4/1 nel 1983. Notare le pance a “Coca-Cola”, un principio che è tutt’ora alla base di tutte le moderne F1.

Schema del doppio telaio della Lotus 88

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