L’effetto suolo in Formula 1 (parte 2: l’epoca d’oro delle minigonne)

Se all’inizio del 1977 gli avversari della Lotus lasciarono cadere l’idea dell’effetto suolo come l’ennesima trovata eccentrica di Chapman, quando capirono come funzionava veramente si impegnarono a riprendere l’idea del geniale progettista inglese. Chapman aveva infatti dimostrato che usare dei condotti di Venturi, uniti a delle minigonne mobili per sigillare il flusso d’aria sotto la monoposto, portava indubbi vantaggi dal punto di vista del carico aerodinamico e della tenuta di strada. Nel 1978 la Lotus aveva dominato grazie alla 78 e alla più evoluta 79 concedendo poco agli avversari che nel corso della stagione corsero ai ripari. I primi a schierare vetture a effetto suolo furono la Shadow e la Arrows, rispettivamente con la DN9 e la FA1. Quest’ultima sarebbe poi stata al centro di una battaglia legale in quanto copia della DN9 dal momento che la Arrows era stata fondata da ingegneri provenienti dalla Shadow. A queste seguì la Wolf WR5, la Ligier-Matra JS9 e la famigerata Brabham BT46B.

La BT46B fu opera di Gordon Murray, altro progettista inglese di talento che negli anni successivi avrebbe firmato numerose vetture di successo, e merita un approfondimento. Quando a stagione in corso alla Brabham si resero conto che l’effetto suolo sarebbe diventato un elemento fondamentale per rimanere competitivi, sorse un problema di primaria importanza: il motore Alfa Romeo V12, per via della configurazione boxer, era troppo ingombrante trasversalmente e non lasciava abbastanza spazio per collocare dei condotti di venturi sufficientemente ampi. Murray allora rispolverò l’idea che otto anni prima era stata alla base della Chaparral 2J, ossia decise di collocare una ventola sul retro della vettura che risucchiava l’aria che passava sotto il fondo. Una serie di minigonne inclinate di 45° e poste lungo il perimetro della vettura avrebbe garantito il necessario sigillo con il suolo. La ventola, al contrario della 2J, era azionata direttamente dal motore tramite un albero secondario cosicché all’aumentare della velocità sarebbe aumentato anche l’effetto risucchio della ventola. In questo modo si sarebbe aggirata la regola che aveva portato la 2J ad essere dichiarata illegale, ossia quella che prevede la presenza a bordo di un solo motore, quello destinato alla propulsione, e non due come sulla Chaparral che azionava le sue ventole tramite il motore di una motoslitta.

Vista posteriore della Brabham BT46B. Si notino le dimensioni della ventola che non poteva di certo passare inosservata.

L’effetto risucchio della BT46b era notevole già a vettura ferma arrivando a toccare il suolo con il fondo, per questo alla Brabham furono costretti ad adottare molle degli ammortizzatori tre volte più dure di quelle standard per impedire che la vettura “spanciasse” anche in movimento. L’esordio in gara avvenne al GP di Svezia e non fu privo di polemiche. Murray fece inizialmente credere che la ventola fosse un dispositivo indispensabile per garantire il necessario raffreddamento al 12 cilindri Alfa Romeo (furbescamente i radiatori erano stati collocati proprio nel condotto che risucchiava l’aria) ma naturalmente nessuno degli addetti ai lavori gli credette. Inizialmente si diede poco credito alla trovata di Murray, la si affrontò più che altro come una curiosità, ma quando Niki Lauda vinse la gara, dimostrando la netta superiorità della Brabham anche sulla Lotus, tutti si mossero per far squalificare le vetture della squadra di Bernie Ecclestone. Alla fine, pur conservando la vittoria, la BT46B fu giudicata illegale per motivi di sicurezza. Infatti chi la seguiva veniva investito da un continuo flusso di polvere proveniente dalla ventola e, se sull’asfalto si depositava del brecciolino, questo veniva proiettato contro gli inseguitori. Tuttavia non è detto che la BT46B fosse destinata ad un futuro di successo, infatti alla vittoria di Lauda fece da contraltare il ritiro di Watson causato da infiltrazioni di polvere nel motore causate proprio dalla ventola. Si dice inoltre che Bernie Ecclestone, consapevole che una simile trovata avrebbe scatenato le ire degli avversari qualora si fosse rivelata vincente sin da subito, avesse suggerito a Niki Lauda di non vincere la gara d’esordio ma di nascondersi per convincere le altre squadre che eventuali future vittorie della BT46B fossero da attribuire all’abilità del pilota e alla bontà dello sviluppo e non al “ventilatore”.

La Lotus 80 nella sua configurazione originale senza alettoni. Si noti la purezza e la pulizia delle linee.

Per la stagione 1979  Colin Chapman voleva conservare la propria superiorità tecnica sugli avversari, per questo con  Martin Ogilvie, Peter Wright e Tony Rudd progettò la Lotus 80 nel tentativo di portare il concetto di effetto suolo ad un livello estremo. Infatti l’intero profilo della vettura era percorso da minigonne e un condotto di Venturi era stato collocato persino nel muso; i tubi di Venturi nelle fiancate avevano dimensioni esagerate superando l’asse posteriore della vettura e il carico generato era tale che la 80 era stata concepita senza alettoni rivelandosi così una vera e propria “wing car” (auto a forma di ala rovesciata). Tuttavia, nonostante fosse una vettura curata nel minimo particolare e rappresentasse un vero capolavoro di ingegneria, le prime prove in pista rivelarono quanto la 80 fosse difficile da guidare. Infatti il carico era troppo sbilanciato al retrotreno, causando un cronico sottosterzo in curva, e l’elevato carico era tale da mandare in crisi le sospensioni. Ma c’era dell’altro. Gli equilibri su cui si basava la 80 erano talmente fragili che il carico aerodinamico poteva variare bruscamente alla minima variazione di altezza dal suolo della vettura.

Questo si traduceva nell’improvvisa perdita di deportanza in percorrenza di curva perché al diminuire della velocità, diminuendo la differenza di pressione tra l’aria che scorreva sotto la vettura e quella che la investiva da sopra, questa tendeva a sollevarsi leggermente dal suolo mandando in crisi i delicati equilibri aerodinamici che ne regolavano il comportamento. Si tentò di ovviare a questi problemi adottando degli alettoni, ma la 80 era ormai compromessa e corse solo 5 gare collezionando un podio e 4 ritiri. Su un concetto simile si basò la Arrows A2 rivelandosi però ugualmente fallimentare.

Gilles Villeneuve in azione con la 312 T4 sotto la pioggia.

A sorpresa il 1979 fu l’anno della Ferrari, infatti nessuno si aspettava che una vettura che utilizzava un ingombrante 12 cilindri boxer e un cambio trasversale potesse creare una vettura ad effetto suolo efficiente. Persino la Brabham si fece costruire appositamente un nuovo 12 cilindri a V di 90° dall’Alfa Romeo per sostituire il V12 boxer utilizzato fino all’anno prima. Tuttavia la felice unione dell’abilità degli ingegneri Ferrari con lo stato di forma dei suoi piloti e l’ottimo rendimento dei pneumatici Michelin radiali fu tale che la 312 T4 si rivelasse, a detta di Enzo Ferrari stesso, una delle monoposto più brutte mai realizzate dalla Ferrari, ma sicuramente una delle più vincenti nella storia del Cavallino Rampante dominando la stagione 1979 con Jody Schekter e Gilles Villeneuve. Uno dei segreti della 312 T4 era sicuramente la miniaturizzazione di tutte le componenti meccaniche che non fossero il motore in modo da ottimizzare i flussi aerodinamici. Le sospensioni anteriori furono inglobate nel musetto, il telaio ridotto nella sezione trasversale e il posto guida avanzato il più possibile.

Il 1980 fu invece l’anno della svolta per le minigonne. Infatti per creare vetture ad effetto suolo efficaci, ed evitare che le variazioni d’assetto della vettura compromettessero il carico aerodinamico come sulla Lotus 80, si cominciarono a costruire telai sempre più rigidi e sospensioni con un escursione minima. In questo modo le vetture diventarono sempre più difficili da guidare e fisicamente provanti a causa della loro durezza, le elevate velocità di percorrenza permesse dalle minigonne in curva generavano accelerazioni laterali fino a 3g tali da provocare ai piloti fastidiosi dolori al collo e la perdita della vista per brevissimi istanti (fenomeno che si riscontrava anche nei jet da caccia prima dell’adozione delle tenute anti g) per non parlare dei dolori alla schiena causati dalla durezza delle sospensioni. Insomma si era arrivati a quella situazione assurda per la quale le prestazioni del mezzo superavano le capacità di resistenza fisica dell’uomo. Inoltre le vetture ad effetto suolo, basandosi su delicati equilibri aerodinamici, avevano il brutto vizio di decollare in caso di incidente.

I resti dell'Alfa Romeo di Patrick Depailler in seguito all'incidente. Dopo che Depailler perse il controllo della vettura, essa si ribaltò in seguito al contatto con il guardrail riatterrando sullo stesso e provocando a Depailler ferite fatali alla testa. Essendo un test privato non erano previste squadre di pronto intervento. La questione della sicurezza nei test privati sarebbe stata ripresa alcuni anni dopo con la morte di Elio De Angelis.

Infatti se interveniva qualche fattore esterno a perturbare i flussi aerodinamici c’era il rischio che la deportanza, generata unicamente dall’effetto suolo,  venisse improvvisamente meno facendo decollare la vettura in caso di tamponamento oppure rendendola incontrollabile  con conseguenze letali nel caso il pilota si fosse trovato ad affrontare una curva al altissima velocità, la vettura sarebbe infatti partita per la tangente senza possibilità di richiamo da parte del pilota. Fu proprio questo a causare la morte di Patrick Depailler in occasione di una sessione di test privati in Germania, sembra infatti che la rottura di una sospensione durante la percorrenza della velocissima Ostkurve, ma c’è chi sostiene che la causa potrebbe essere un sassolino incastratosi sotto una minigonna, abbia annullato improvvisamente il carico aerodinamico rendendo impotente Depailler di fronte a una vettura divenuta improvvisamente inguidabile con conseguente schianto ad altissima velocità contro il guardrail. Un altro elemento a sfavore delle minigonne era il fatto che le monoposto correvano praticamente sui binari, una volta impostata una curva era praticamente impossibile correggere la traiettoria col risultato che divenne molto difficile evitare ostacoli all’ultimo momento.

Proprio per far fronte a questa situazione il controverso Jean-Marie Balestre, l’allora presidente della FISA (Fédération Internationale du Sport Automobile), presentò un nuovo regolamento in vista del 1981 che prevedeva l’abolizione delle minigonne. Questo riaccese i contrasti tra la FISA, appoggiata dalle scuderie legate a grandi case costruttrici (Ferrari, Alfa Romeo, Renault), e la FOCA (Formula One Constructors Association) di Bernie Ecclestone che tutelava gli interessi dei piccoli costruttori (Lotus, Williams, McLaren, ecc…). Ecclestone sosteneva infatti che una simile rivoluzione nei regolamenti avrebbe penalizzato eccessivamente i piccoli costruttori, che già si trovavano in difficoltà di fronte all’imminente avvento dei motori turbo, mentre Balestre voleva farsi garante della sicurezza dei piloti. Questi contrasti degenerarono ben presto in una vera e propria guerra che portò la FOCA ad istituire un campionato autonomo per il 1981. Fortunatamente si giunse ad un accordo e il Mondiale 1981 prese regolarmente il via con vetture prive di minigonne e un’altezza minima dal suolo fissata in 6 cm.

Jean-Marie Balestre (sinitra) e Bernie Ecclestone.

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